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Fino ai primi anni ’40, nella notte tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana in cui c’era un bambino si popolava di morti che gli erano famigliari. Non quelli con il lenzuolo bianco e le catene, non quelli che fanno paura, ma identici a quelli che si vedevano nelle fotografie esposte in salotto con il vestito buono. I bambini, prima di andare a dormire, mettevano sotto il letto un cesto di vimini (grande o piccolo dipendeva da quanti soldi c’erano in famiglia) sapendo che durante la notte i morti l’avrebbero riempito di dolci e regali.

Tutti eccitati i bambini facevano fatica a prender sonno: li volevano vedere, i loro cari defunti, mentre con il passo leggero venivano vicino al letto, facevano loro una carezza e si chinavano a prendere il cesto.

La mattina all’alba, dopo un sonno agitato, cominciavano a cercare. Sì, perchè i morti avevano voglia di giocare con loro, di scherzare, e quindi il cesto non lo rimettevano mai dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo e bisognava cercarlo per tutta la casa. Ma che emozione quando finalmente il cesto stracolmo  veniva trovato magari sopra a un armadio o dietro a una porta! I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza e i dolci erano quelli tipici della tradizione, rituali, detti “dei morti”: la frutta martorana di marzapane, i “rami di meli” fatti di farina e miele, la “mustazzola” di vino cotto e quello che non mancava mai era il “pupo di zucchero” che raffigurava un bersagliere con la tromba o una ballerina in un passo di danza. 

Poi, il giorno dopo, il 2 novembre, per affettuosa consuetudine, tutti al camposanto a salutare e ringraziare i morti, per ricambiare la visita che loro avevano fatto il giorno prima.

Poi, dopo il 1943, con i soldati americani arrivò anche l’albero di Natale ( e in tempi più recenti Halloween!) e i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano i figli e i figli dei figli……

dai racconti di Andrea Camilleri